La Francia ha affermato mercoledì che intende continuare a lavorare a stretto contatto con il primo ministro israeliano Netanyahu e le altre autorità israeliane nonostante il recente mandato di arresto della Corte penale internazionale contro il primo ministro israeliano.
Secondo il Ministero degli Esteri francese, ai sensi dello Statuto di Roma, uno Stato non può essere obbligato ad agire in contrasto con i suoi obblighi internazionali riguardo alle immunità di cui godono gli Stati che non fanno parte della Corte penale internazionale (CPI). In questo senso, la dichiarazione afferma che “Tali immunità si applicano al Primo Ministro Netanyahu e ad altri ministri competenti e dovranno essere prese in considerazione nel caso in cui la Corte penale internazionale ne richiedesse l’arresto e la consegna”. Il ministero ribadisce inoltre la storica amicizia tra Francia e Israele in quanto due democrazie impegnate a favore dello stato di diritto.
Israele ha respinto le accuse, definendo la Corte penale internazionale un “organismo politico parziale e discriminatorio”. Il primo ministro Netanyahu sostiene che il mandato d’arresto è stato emesso da un “procuratore capo corrotto che sta cercando di salvarsi dalle accuse di molestie sessuali”, mentre continuano le indagini esterne sulle accuse di cattiva condotta contro il procuratore capo Karim Khan. Al contrario, l’Unione Europea ha preso una posizione forte a favore della decisione della CPI. L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha dichiarato che il mandato d’arresto è vincolante per tutti gli Stati membri. Nonostante ciò, membri dell’Unione come l’Ungheria si sono già impegnati a sfidare il mandato d’arresto.
Un’eventuale inosservanza da parte della Francia del mandato d’arresto potrebbe violare i suoi obblighi ai sensi dell’articolo 86 dello Statuto di Roma. Ciò richiede che gli Stati collaborino alle indagini e al perseguimento dei crimini. La CPI ha anche il potere, ai sensi dell’articolo 87 dello Statuto, di deferire un paese all’Assemblea degli Stati parti in caso di mancato rispetto di una richiesta di cooperazione.